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Selfie-mania: 3 consigli per non farsi contagiare dall’ansia da selfie

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Ecco a voi la selfie-mania

Ogni giorno nel mondo vengono scattati oltre 93 milioni di selfie; hanno calcolato che, di questo passo, spenderemo almeno un mese della nostra vita alla ricerca dell’inquadratura perfetta.

Non è un tempo eccessivo, per un momento d’evasione o, tutt’al più di vanità, com’è nel dna di un autoscatto condiviso?

Studi effettuati affermano che l’autoritratto è ormai un tramite con cui costruire la nostra identità corporea.

Ciascuno di noi ha due corpi, forse addirittura tre e possiamo avere un’esperienza diretta e immediata del nostro corpo, ovvero “sentirlo”.

Oppure possiamo vederlo dall’esterno, come quando ci guardiamo allo specchio o in una fotografia; ma esiste un’ulteriore modalità di scoprire il nostro corpo ossia percepirlo attraverso lo sguardo altrui.

È quello che succede oggi quando postiamo sui social un selfie; quest’ultimo, ormai, è un ritratto da inviare a chi è lontano per sentirsi presenti nel posto in cui si è.

In altre parole: sono visto, dunque esisto

Il selfie è simile all’esporci agli occhi delle persone, quando camminiamo per la strada o entriamo in un luogo pubblico, ma tra l’esperienza reale e quella virtuale le differenze sono molte e sostanziali.

Nel momento in cui una persona in carne e ossa, ci osserva, noi siamo lì, davanti a lei: perciò, ogni giudizio espresso o anche solo intuito, in questa circostanza impone un contatto, un’interazione con l’altro.

Con un selfie, invece, siamo noi a scegliere l’immagine da mostrare e lo facciamo con cura, manipolandola con filtri ed effetti speciali, la “consegniamo” ad algoritmi che la gestiranno in base al numero dei nostri follower.

E il feedback che riceveremo sarà immediato e, soprattutto, qualificabile in like, visualizzazioni e commenti.

Un mezzo di costruzione personale dai risvolti potentissimi, che tuttavia prescinde dagli elementi fondamentali della relazione, come la parola, la vicinanza fisica, il contatto visivo.

Le conseguenze?

Ciascuno di noi non è più un essere sfaccettato e sfumato, ma il prodotto di una sequenza sincopata di eventi, direi di scatti; nessun senso più della vista s’accorda bene con questa frammentazione del mondo.

Lo specchio virtuale sta acquisendo un’importanza crescente nella costruzione della personalità, come se riuscissimo a prendere forma solo attraverso questa esposizione pubblica agli sguardi social.

Certamente, tutti abbiamo bisogno di sentirci riconosciuti, ma quel che conta è non provocare una scissione incolmabile tra come siamo e come vogliamo apparire, tra la nostra iconografia online e i nostri connotati offline.

La fragilità nasce quando il selfie diventa l’unico sistema che abbiamo per definire chi siamo ossia un guscio vuoto nel quale cerchiamo riparo e conferme.

Tre consigli per non farsi contagiare dall’ansia da selfie.

  1. Scattiamo meno foto – troppi selfie danno alla testa e creano dipendenza per l’effetto di rimbalzo immediato che hanno. Quindi, proviamo a lasciare il telefono in borsa e a gustarci di più il momento che stiamo vivendo.
  2. Puntiamo ai contenuti – non siamo pura esteriorità, invece di comunicare solo con il nostro volto, puntiamo anche sui contenuti : idee, emozioni, azioni
  3. Cerchiamo la relazione – ci sentiamo belle ? Lasciamo perdere il selfie e usciamo, avere contatti reali rafforza la nostra identità molto più di un like.

Quindi selfie si o selfie no?

Esiste una strada sana di vivere questa abitudine: utilizzare i selfie solo per potenziare ciò che abbiamo realmente dentro, e non per propagandare ciò che vorremmo essere.

In questo modo potremmo interiorizzare il riconoscimento sapendo che è reale, non filtrato.

Allora, via libera a condividere un momento positivo, uno stato di benessere, una situazione interessante, ma nella consapevolezza che la ribalta virtuale non aggiunge nulla di più al nostro essere offline.